La valle oscura by Anna Wiener

La valle oscura by Anna Wiener

autore:Anna Wiener [Wiener, Anna]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Adelphi
pubblicato: 2020-11-04T22:00:00+00:00


In primavera la startup lanciò una nuova funzionalità, un report chiamato Addiction, «dipendenza». I grafici di Addiction mostravano la frequenza di interazione dei singoli utenti, visualizzata su base oraria – come un rapporto sulla conservazione del cliente, ma potenziato. Fu una scelta di prodotto azzeccata, messa brillantemente in atto dai programmatori. Ogni azienda voleva creare una app che gli utenti controllavano più volte al giorno. Volevano essere attrattive – più attrattive di tutti. I grafici di Addiction quantificavano e rinforzavano quest’ansia e ossessione.

La nostra direttrice della comunicazione ci aveva lasciato per un’azienda tech più grossa, con benefit e politiche consolidate più favorevoli alla famiglia, e non era stata sostituita. Da che se n’era andata, ero diventata copywriter di fatto, ma quando chiesi un aumento per il lavoro extra, mi fu categoricamente negato. «Lo fai perché ci tieni all’azienda» disse il responsabile delle soluzioni – ed evidentemente era così, perché continuai a farlo.

Per promuovere Addiction, scrissi per l’amministratore delegato un articolo d’opinione che descriveva, in tono asciutto, la convenienza di far tornare costantemente gli utenti alle stesse app, più volte all’ora. «Addiction permette alle aziende di vedere quanto sono integrate nella vita quotidiana delle persone» scrissi, come se fosse una cosa positiva. Il pezzo fu pubblicato con la firma dell’amministratore delegato su un blog di tecnologia molto noto, e a mio nome sul nostro blog aziendale.

La novità di Addiction era entusiasmante, ma la premessa mi inquietava. In azienda eravamo quasi tutti sotto i trenta, ed eravamo cresciuti con Internet. Trattavamo la tecnologia come qualcosa di inevitabile, ma cominciavo a pensare che potessero esserci altri approcci. Già adesso, restavo fin troppo spesso impigliata nelle maglie di una rete dopaminergica: mi spedivo per e-mail un link o un appunto e, sentendo la notifica, avvertivo una scossa di eccitazione, poi mi ricordavo che ero stata io stessa a innescarla. La dipendenza da app non era qualcosa che ci tenessi a incoraggiare.

Anche il branding mi infastidiva. Conoscevo molte persone che se n’erano andate in campagna per liberarsi da una dipendenza da eroina, cocaina, antidolorifici, alcol –ed erano quelli più fortunati. La dipendenza era un’epidemia generazionale; era devastante. Il Tenderloin era a cinque isolati di distanza dal nostro ufficio. Dovevano esserci aspirazioni più alte. O, come minimo, nella lingua inglese si potevano trovare altre parole.

Accennai i miei scrupoli a Kyle. Era come se nessuno in azienda fosse mai stato vicino a qualcuno che faceva uso di droghe anche solo occasionalmente, dissi. Era come se l’abuso di stupefacenti fosse un concetto astratto, qualcosa di cui avevano letto solo sui giornali, ammesso che qualcuno di loro si preoccupasse di leggerli. Non era soltanto insensibile, ma elitario, imbarazzante e offensivo. Tanto vale chiamare Anoressia i nostri report sull’imbuto di vendita, dissi. Iniziamo a chiamare Suicidi i tassi di abbandono.

Kyle ascoltò pazientemente la mia filippica. Si tolse il berretto da ciclista a fiori e si grattò la nuca. «Sì, certo, capisco» disse. «Quello della dipendenza da videogiochi è un problema grosso. Niente di nuovo. Ma non vedo nessun incentivo perché le cose cambino».



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